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Ferruccio Centonze - Biografia Liceo classico G.Pantaleo - Castelvetrano

Ferruccio Centonze Novelliere

di Salvatore Zarcone

Centonze novelliere conosce il suo esordio abbastanza tardi con "Storie senza tempo" e prosegue con "Le scarpe del soldato Percàuz". Si mette poi in luce con "Il soppalco con la trave smurata" e trova una sua naturale continuazione con "Un uovo di sale e altre storie del provvisorio andare". Quattro raccolte che, pur nel mutare del titolo, ne fanno una sola per temi, per linguaggio, per tensione estetica e soprattutto per disposizione umana.


La misura è breve, analoga alla durata brevis della vita (una «corsa quotidiana che ci ruba i giorni»), eppure si tratta di una scrittura profonda e densa di umori e di memorie il cui sentimento predominante è, come ha giustamente rilevato Cottone, il sentimento del tempo. Non a caso il titolo di una famosa raccolta poetica ungarettiana, perché insieme con il narratore che racconta sempre in prima persona c'è certamente un autentico vissuto e perciò, ed è giusto rilevarlo, un uomo vero, difficile da incontrare nei moderni intricatissimi boschi narrativi. Un uomo, occorre subito aggiungere, che ha chiara e netta la percezione del «cammin di nostra vita» e cioè di un percorso non individuale ma comune a molti altri, di un uomo tra gli uomini. Così è anche la scrittura, nei suoi contenuti e nel suo linguaggio, che si apre a un destinatario sociale sempre presente e chiaramente evocato pure nel «vuoto del nostro vagare in questo ciclone che ci trascina fin dal primo batter di palpebre davanti alla luce della vita» , in «questo provvisorio andare».


Nei racconti di Centonze c'è un prima che ne costituisce la condizione, un antecedente che crea la possibilità stessa dell'apertura alla narrazione: lo sguardo. Il narratore si muove nel reale come un osservatore. E' sostanzialmente un io che guarda, che si lascia penetrare dal mondo col quale è venuto o viene di volta in volta a contatto (la famiglia, la scuola, la strada etc.). La visione, che potrebbe sembrare una disposizione puramente passiva, mette però in moto una ricerca di senso che quasi sempre si muove sul filo della memoria tra passato e presente. L'occhio che guarda è, dunque, soltanto una soglia per l'io che vede e che sa ricollegare le fila disperse nel tempo di un discorso che la realtà gli propone.


Un discorso necessariamente frammentario, così come si propone nel vissuto, come appare di volta in volta episodicamente, ma proprio per questo più significativo e più ricco di valori.
Collocata prima della narrazione, questa attenzione svela l'ansia di una ricerca che è senza dubbio personale e conferisce alla scrittura in se stessa il valore di testimonianza, di diario intimo, di narrazione di un percorso che a tratti si svela e per questa ragione viene trascritto.

 

La prospettiva personale della narrazione lascia cadere, inoltre, sui racconti, una patina più spesso lirica che sembra sublimarli sul piano estetico ma che in realtà conferisce loro la forma stessa dello sguardo che si posa sul reale. Centonze non cerca, infatti, anche quando così può apparire, il dato reale, l'analisi di un fatto, la rappresentazione pura e semplice di un avvenimento vicino o lontano nel tempo. La sua è come un'attesa, la ricerca di un evento, di un volto, di un suono che possa mettere in moto l'attenzione vigile dell'osservatore e realizzare il disvelamento di un significato prima non visto o subito non compreso, la scoperta di un segno vicino eppur nascosto, la rivelazione di un senso dietro il velame del banale, dell'usuale e del quotidiano.


Dei fatti Centonze ci rappresenta il momento in cui essi per l'appunto si 'rivelano' e illuminano di una luce vivida l'opaca realtà, l'oscuro grigiore di una sequela di giorni altrimenti insignificanti e privi di peso. E' proprio questa, tra l'altro, come in Pascoli ma più ancora come nel realismo magico di Bontempelli, la capacità e l'identità stessa dello scrittore: scoprire nel reale, soprattutto proprio in quello più socialmente marginale, più in-significante e più dolorante, a volte addirittura "un residuato, un resistente" , brandelli di una verità che giace al fondo, che è nelle cose e che è attingibile solo che la si sappia guardare e ascoltare. Una disponibilità e una sintonia nei confronti del simbolico che attraversa e pervade tutta questa scrittura come la sua stessa ragione d'essere, autentica e reale perché non espressione puramente letteraria, ma disposizione personale dell'autore, ricchezza interiore capace di viaggiare tra i livelli di senso del reale.


Il racconto nasce sempre da questi momenti 'rivelatori' ed è esso stesso, come in Joyce, il risultato di una illuminazione (termine assai caro a tutte le moderne avanguardie), di momenti in cui tutto sembra rarefarsi e quasi fermarsi per dar posto a qualcosa che prima non l'aveva, collocato com'era ai margini del senso e che ora si pone al centro della narrazione rivendicando il suo diritto di esistere. La scrittura, filtrata dall'io che ricorda e ricostruisce le fasi dell'evento, s'impunta in un «Fu in quel momento..» (e simili) che ne svela la singolarità ma insieme l'incredibile e il misterioso aprirsi e svelarsi di un'altra dimensione, la possibilità di attraversare quella singolare e unica soglia temporale per immergersi, come attraverso un buco nero, in un altro universo, questo sì del tutto atemporale nel quale cioè tutti i tempi convivono e sono contemporanei e l'io può rivivere insieme passato e presente.

 

E' in questo nuovo e diverso universo narrativo, quale nuova dimensione scaturita dallo sguardo del narratore che possono incontrarsi figure lontane nel tempo e nello spazio, che possono darsi la mano e confrontarsi persone distanti e fra loro ingnote. Così, sempre da questi incontri viene fuori come risultato finale una nuova realtà. Un'immagine prima sconosciuta, un significato nascosto, una riflessione inquietante «una vicenda che mi ha angosciato allora e mi torna ora, in certe notti bianche in cui il pensiero trascorre dalle fessure del tempo e vaga per mondi che stanno al di là di ogni barriera fisica».


Certo molti dei racconti del soldato Percauz riportano all'esperienza dolorosissima della seconda guerra mondiale e sembrano attraversarla in tutta la sua profonda tragicità. E molti dei racconti del Soppalco ritornano alla giovinezza e ai ricordi familiari. In realtà, quegli eventi sono poco più di un pretesto. L'io che narra non li ripercorre per intero, non tenta di ricostruire, sia pure a mosaico, un quadro completo e definito, ma vi indaga soltato quei momenti della propria e altrui esistenza in cui si è 'svelato' un significato particolare, vi cerca e mette in evidenza unicamente quegli attimi in cui un fatto si è svelato sul piano simbolico a costruire una nuova e prima sconosciuta realtà.
Lo schizzo a tutto tondo, icastico e frizzante, più che alla memoria del lettore si rivolge, dunque, soprattutto ai suoi modi di guardare il mondo, alle forme del suo osservare la realtà suggerendogli di aprire anch'egli lo sguardo a una rinnovata percezione della vita e del divenire.

 

Dentro il quotidiano si nasconde un senso da svelare, dietro i piccoli eventi banali ci sono verità profonde da riportare alla superficie della scrittura. C'è anche l'odore del pane buono nella scrittura di Ferruccio Centonze e si sente ancora il rumore dei carretti e degli zoccoli dei muli, mentre la memoria snoda davanti al vecchio focolare i fili sottilissimi di un passato che possiede la chiave di ogni spiegazione.


Tra presente e passato Centonze sgrana il suo rosario narrativo che ripercorre i giorni a uno a uno, i suoi giorni tra nostalgia e ricostruzione della memoria, tra distanza dal presente e ritorno continuo e accorato a figure, oggetti, usanze, immagini , odori, sapori, parole, suoni di un tempo diverso e ormai scomparso. Non si tratta, però, come si diceva di una rievocazione nostalgica, ma di un guardare per comprendere, di un'indagine sulle soglie che aprano ad altri significati.


Insieme con le singolari atmosfere, con gli oggetti desueti, le storie minime di uomini e di donne d'altri tempi, nelle sue brevi storie Centonze tenta di restituire il sentimento di un tempo, di ricreare il vitale scomparso, il tessuto connettivo di una realtà oggi scomposta e disgregata. Si tratta di un tempo povero, preindustriale, chiaramente ancora contadino, ignaro di ogni eccesso e soprattutto dell'effimero del moderno, del suo snaturamento e allontanamento progressivo dell'uomo da se stesso.


Il discrimine è l'esperienza della guerra mondiale («inutilità di anni terribili») al di qua del quale stanno comportamenti e forme di coscienza ben diverse. Attraverso una memoria estremamente ricca e selettiva Centonze ricostruisce un ipotetico e comunque diverso mondo di valori a partire da un presente avvelenato (in questo senso la presenza nell'aria dell'ossido di carbonio risulta molto significativa).


Come già sosteneva Virgilio Titone, però, Centonze non «protesta contro la cosiddetta ingiustizia sociale dei soliti declamatori. In lui sentiamo sempre presente un motivo più profondo: la pena di vivere di quelli che si sono allontanati dagli altri o che ne sono stati abbandonati, o piuttosto il dolore della vita tutta. Questo stato d'animo si esprime nella forma sua propria: nel pudore dello stile e nella nuda efficacia della lingua».
Ricordando zia Amalia, ad esempio, la dolorosa riflessione riconduce ad una condizione comune: «è passata anche lei come passa tutto quelloche appartiene alla nostra provvisoria esistenza».


Questo continuo dialogo tra passato e presente, soprattutto nella prima sezione, «Stampe di tempo e di nuvole» di Un uovo di sale, trasforma le storie in brevi apologhi, pone i singolari comportamenti dei personaggi quali "exempla" e la stessa scrittura come paradigmatica rispetto ad una precisa ed evidente funzione pedagogica. Tuttavia, queste sottese finalità non impediscono anzi, al contrario, sembrano potenziare la capacità di rappresentazione di quel passato che raffiora solido e nitido attraverso un testo narrativo che a tratti tende a trasformarsi in scrittura poetica.

 

Ciò appare evidente e palpabile nelle brevi prose del Soppalco con la trave smurata nelle quali Centonze è bravissimo a stabilire tra passato e presente violenti contrasti percettivi, evidenti opposizioni comportamentali, forme etiche profondamente dissimili che fanno pendere il piatto della bilancia della complessiva valutazione tutto a favore di un passato possibile solo a patto di rinunce, solo a patto di cogliere la distruttività di un processo che ha portato alla progressiva e inarrestabile svalutazione di quelle forme e al capovolgimento delle norme e dei comportamenti etici.


I suoi brevi ma intensissimi schizzi hanno il valore di una favola, insegnano a conoscere il passato e a valutare il presente, nessun calligrafismo, dunque, né arte per l'arte, anche se la tensione espressiva è costantemente presente in tutti i racconti, ma vita interiore che si riverbera nella scrittura, chiara visione etica e politica che diviene espressione letteraria e apologo in funzione di un cambiamento.
Funzione teoretica, conoscitiva, letteraria e anche estetica, ma soprattutto pratica, intesa a formare un'umanità diversa, a servirsi pienamente e ad alti livelli dello strumento letterario per indicare un percorso, per costruire una diversa e rinnovata società.
Chi dietro le rievocazioni, le attente e amorose ricostruzioni del passato non cogliesse questo anelito verso il presente, nei confronti di un tessuto sociale snaturato, da riconnettere e da riportare dentro il suo alveo originale e 'naturale', coglierebbe solo l'aspetto letterario e perciò puramente rivolto al passato e nostalgico di quei racconti.


Il rapporto con il presente, invece, da cui i racconti sempre partono e a cui sempre immancabilente ritornano, mostra una diversa urgenza, denuncia vistosamente un fine implicito interno alla dimensione puramente letteraria.
Anche nelle più piccole opzioni lessicali, come nelle scelte linguistiche generali, Centonze procede con movimenti analoghi ai contenuti con una chiarezza ed una semplicità che corrispondono certamente ad un atteggiamento morale prima e del pensiero poi.
«Un uovo di sale», ad esempio, rappresentava una volta una forma di piccolo baratto, si scambiava un uovo per il corrispettivo in sale. Il titolo però allude, oltre che alle forme dell'impossibile passato, al filo rosso che lo lega al presente, a quel «provvisorio andare» considerato nella sua sottilissima e impalpabile precarietà sul cui sfondo quasi per contrasto si staglia la perentorietà di un gesto che rimane nella memoria come simbolo di una società intera, di destini umani che passano ma restano nel ricordo quale segno non solo di un diverso sentire ma di un'altra coscienza. E' questa dimensione a sottendere le novelle nelle quali la ricchissima fantasia di Centonze scandaglia aspetti diversi del reale nell'affermazione di un difficile e contraddittorio senso del destino umano.
Si tratta di un atto di fede, difficile nell'improbabile orizzonte di una condizione umana sempre più stravolta e prigioniera del suo stesso progresso, e tuttavia netto e possibile nel recupero di valori antichi, di tradizioni, comportamenti, rapporti, usanze che il presente sembra ignorare e la scrittura fa riaffiorare come emergenza necessaria.

 

Nelle deformazioni umoristiche di «Specchio parabolico», dove è ben visibile la lezione pirandelliana, e nella rappresentazione alle soglie del mistero di «La dimensione impenetrabile» Centonze dilata il filo della memoria per abbracciare una realtà più vasta e il racconto in prima persona si trasforma in rappresentazione di forme significative e di comportamenti singolari. C'è un violinista che, imbattutosi per caso in una donna, folle per la perdita del marito suicida, la fa ricoverare ma, mentre sta per avviarsi verso casa, pensa alla 'normalità' della propria moglie che ogni sera prima di entrare lo obbliga a togliersi vestiti e scarpe; c'è la misteriosa esistenza di un cieco, costretto sempre
nei suoi quindici metri di marciapiede, e quella di un minorato che lo guarda e ripete sempre la stessa frase; c'è uno svitato che racconta allo psichiatra di avere la voce sottile come un filo di fumo, che anzi è convinto sia la voce che viene dal fumo stesso a comandargli le cose più insulse, «Due insetti nell'immenso formicaio della terra» che provvidenzialmente s'incontrano; c'è Dani lo scemo, un povero sbrigafaccende, che durante un terremoto vedendo occupata la sua tenda dal cavalier Guglielmo e signora trova naturale scambiarla per tre giorni con il loro grande letto borghese; c'è un vecchio di carta che non riesce a farsi strada tra la calca dell'ufficio postale, nella «corsa continua affannosa inutile» di ogni giorno; c'è un altro vecchio con una valigetta legata con un nastrino rosso, mostra a tutti la foto del suo cane; anche lui, dopo la moglie morta e i figli indifferenti, lo ha abbandonato; c'è un uomo, con il cervello in subbuglio che ogni notte canta per le strade «ridi pagliaccio» e veramente ride per la contentezza di sapere che mentre tutti dormono può finalmente parlare con Dio ed esserne ascoltato.


La sezione «Anni difficili» racchiude esperienze che «non è facile dimentiare» ma anche, nella «corsa vertiginosa» del secolo, la sacralità del ricordo, il dovere per chi è rimasto di ricordare a sé e agli altri. Ne vengono fuori personaggi minimi ma sbozzati a tutto tondo nella pienezza di un'umanità che nel dolore sa rinnovarsi e ritrovarsi (E' questa una delle direzioni implicite nella scrittura di Centonze). Ne vien fuori l'inutile ferocia che uccide l'indifeso uccellino Zamuner, ma anche la piccola epopea dell'inutile ma eroico balbuziente Zaccaria.


L'ultima sezione, «Dalla parte del cuore» , dichiara senza mezzi termini la direzione cui piega la scrittura. C'è uno spilungone, Aguglia, che rischia grosso per la sua disattenzione a scuola ma che alla fine si scopre tutto preso da un bel ritratto del suo insegnante e ci sono ancora acquarelli e gouaches che alla destrutturazione analitica della realtà delle prime sezioni propongono una loro risposta complessiva, una ricomposizione etica, difficile ma possibile, che riconduce il testo ad un'apologia dei comportamenti 'buoni' e prima ancora dei sentimenti 'buoni' nel recupero della tradizione.

 

Sono le figure minime, gli episodi quasi insignificanti, i personaggi marginali e forse borderline a scoprire d'improvviso e in una forma che ha molto del meraviglioso questi aspetti nascosti del reale. Il massimo di significato si trova nelle insospettabili forme minime e,quindi, in ciò che viene considerato di poco valore e scartato. Bisogna guardare là, ci dice Centonze, nelle cose che abbiamo messo in tutta fretta in soffitta se non gettato nella spazzatura e non avere vergogna di guardarci dentro. Sospese sull'impalpabile filo di quel 'precario' ma sempre meraviglioso 'andare' cui lo scrittore sa affidare tutta la prepotente carica del suo forte sentire, si potranno trovare allora insieme con gli oggetti anche le forme di una vita che credevamo perduta, si potrà ricostruire una dimensione etica che dall'uomo procede ed all'uomo dà un senso alle cose, a tutta l'esistenza e all'esistenza di tutti.

 

I testi delle conferenze sono stati tratti dal "Convegno su Ferruccio Centonze" edito su "Logoi" del 2008 in cui il Liceo classico G.Pantaleo di Castelvetrano annualmente pubblica le attività didattiche svolte.